Circolari

Il reato di autoriciclaggio e la responsabilità ex Decreto 231.

Circolare n° 54/2015 » 15.06.2015

Il reato di autoriciclaggio è stato introdotto nel codice penale dalla legge n. 186/2014, approvata lo scorso dicembre per disciplinare il meccanismo della cd. voluntary disclosure, diretto a favorire il rientro dei capitali detenuti all'estero.

Il reato (nuovo art. 648-ter.1, c.p.) punisce colui che impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative il denaro, i beni o le altre utilità derivanti dal delitto non colposo (di seguito, anche “reato-base”) che lo stesso ha commesso o concorso a commettere. Ciò a condizione che la condotta sia idonea a ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza illecita della provvista.

Al contempo, si prevede la non punibilità delle condotte di mero utilizzo o godimento personale della provvista illecita, in linea con l’assunto per cui tali ipotesi costituiscono la naturale prosecuzione del reato-base (il c.d. post factum non punibile). Infatti, se il solo godimento delle utilità illecite fosse oggetto di autonoma sanzione, verrebbe duplicata la risposta sanzionatoria in relazione a condotte che sono riconducibili allo stesso fatto di reato e che, quindi, esprimono un disvalore penale unitario.

Inoltre, l'autoriciclaggio è stato inserito tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del Decreto legislativo n. 231/2001 (art. 25-octies).

La disciplina della nuova fattispecie mira, in via principale, a rafforzare l’azione di contrasto alla criminalità economica e al riutilizzo delle risorse di provenienza illecita, nonché a incentivare l’adesione alla voluntary disclosure, poiché la punibilità per autoriciclaggio è esclusa per coloro i quali si avvalgano di tale meccanismo.

Sul piano sanzionatorio, l’art. 648-ter.1, c.p. prevede che il reato di autoriciclaggio è punito con la reclusione da 2 a 8 anni e la multa da 5.000 a 25.000 euro. Se il reato-base è meno grave, vale a dire punito con la reclusione inferiore nel massimo a 5 anni, la misura della pena è ridotta: reclusione da 1 a 4 anni e multa da 2.500 a 12.500 euro, salvo il caso in cui il reato-base sia stato commesso avvalendosi del metodo mafioso o per agevolare associazioni mafiose. In tale ipotesi, infatti, si applica comunque la misura ordinaria della pena.

Inoltre, la pena è: i) aumentata se i fatti sono commessi nell’esercizio di una attività bancaria, finanziaria o comunque professionale; ii) diminuita se l’autore della condotta si è adoperato per evitare conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione delle utilità illecite.

Per quanto riguarda l’eventuale responsabilità dell’ente, sono applicabili le stesse sanzioni che il D. Lgs. n. 231/2001 prevede per i reati di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (di cui allo stesso art. 25-octies ). In particolare, si applicano le sanzioni: i) pecuniaria da 200 a 800 quote ovvero da 400 a 1000 quote, laddove il reato-base è punito con reclusione superiore nel massimo a 5 anni; ii) interdittive per un tempo non superiore a 2 anni.

Principali questioni interpretative

Una prima lettura della norma evidenzia alcuni profili problematici legati all’applicazione della nuova fattispecie, che Confindustria aveva già evidenziato alle Istituzioni competenti durante l’iter di approvazione delle disposizioni e che dovrebbero essere chiariti in via interpretativa.

In questo senso, l’auspicio è che la giurisprudenza sia rigorosa nel dare rilevanza agli elementi costitutivi della fattispecie, nell’ottica di punire soltanto quelle condotte che esprimono un disvalore penale ulteriore rispetto a quello riconducibile al reato-base, sanzionato in via autonoma, evitando così un eccesso sanzionatorio.

In via preliminare, si segnala che il reato di autoriciclaggio risulta configurabile solo se il trasferimento o reimpiego delle utilità è avvenuto dopo il 1° gennaio 2015, data di entrata in vigore della legge n. 186/2014.

Di seguito si illustrano le principali questioni rilevanti in chiave interpretativa.

Innanzitutto occorre evidenziare che la fattispecie dell’autoriciclaggio si distingue, tra l’altro, per le specifiche modalità della condotta che, infatti, deve risultare idonea a occultare la natura illecita delle utilità ricavate dal reato base. È essenziale che questo aspetto venga puntualmente riscontrato sul piano giudiziario, per evitare il rischio di punire per autoriciclaggio anche operazioni di reimpiego delle utilità illecite che siano prive di quell’ulteriore disvalore penale che fonda la punibilità dell’autoriciclaggio.

Sul punto la legge n. 186/2014 è chiara, laddove precisa che la condotta deve essere posta in essere “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione” della provenienza illecita della provvista. Infatti, l’avverbio “concretamente” contribuisce a specificare che la ratio è di punire soltanto le condotte che sono state poste in essere per ostacolare, in concreto, l’identificazione della provenienza delittuosa delle utilità. L’utilizzo di questa espressione evidenzia dunque una precisa scelta del legislatore, soprattutto alla luce della comparazione con l’analoga fattispecie di riciclaggio (art. 648-ter, c.p.), che ha rappresentato il termine di paragone per la definizione dell’autoriciclaggio e non contiene l’avverbio sopra richiamato.

In linea con tale impostazione, l’auspicio è che questo elemento costitutivo della nuova fattispecie costituisca un filtro al proliferare di improprie contestazioni per autoriciclaggio.

Peraltro, un’interpretazione rigorosa della nuova fattispecie eviterebbe anche l’elevato rischio che, in caso contrario, per effetto di un’applicazione estensiva – lontana dal dato letterale – della norma in commento, l’autore di un reato tributario possa incorrere in automatico anche nell’imputazione per autoriciclaggio. I reati tributari determinano, infatti, per la loro stessa natura un risparmio di imposta (la c.d. provvista illecita), che resta automaticamente inglobato nel risultato di esercizio e, quindi, viene automaticamente reimpiegato nella stessa attività economica dell’impresa.

Di conseguenza potrebbe accadere che la medesima condotta venga punita due volte sul piano penale (per il reato tributario base e per l’autoriciclaggio), oltre che sul piano amministrativo, il che realizzerebbe quella violazione del principio del ne bis in idem, di recente stigmatizzata anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (su cui si veda infra).

In termini pratici, sulla scorta di alcuni orientamenti della giurisprudenza in tema di riciclaggio, si osserva che se il reato tributario dell'infedele dichiarazione è compiuto dall'amministratore nell'interesse della società, il risparmio di imposta si confonde nel patrimonio sociale e quindi si configura in via automatica il reimpiego in attività economica. Pertanto, se questa impostazione dovesse essere confermata anche in materia di autoriciclaggio, l’amministratore autore della dichiarazione infedele potrebbe essere chiamato a rispondere anche per l’autoriciclaggio, ad esempio, per aver pagato i dipendenti con la provvista illecita, anche laddove non si sia attivato per far perdere la traccia del collegamento tra il delitto-base e l’utilità.

D’altra parte, sarebbe stato opportuno, contestualmente all’introduzione del reato di autoriciclaggio, procedere alla tanto attesa riforma dei reati tributari (in attuazione delle legge delega fiscale) e all’esclusione delle rilevanza penale per le condotte prive di fraudolenza: con la vigente configurazione dei reati tributari, come già osservato, infatti, i contribuenti responsabili di violazioni tributarie non connotate da alcun intento frodatorio rischiano di essere sanzionati, non solo per la fattispecie fiscale, ma anche per autoriciclaggio.

In proposito, l’auspicio è che non si incorra in imputazioni automatiche per autoriciclaggio e che si dia seguito alle intenzioni del legislatore, richiamate anche da una parte della dottrina, interpretando con rigore l’art. 648-ter.1 e, quindi, valorizzando l’elemento più caratterizzante delle condotte di riciclaggio, vale a dire l’idoneità a nascondere la natura illecita dei proventi. Questo approccio consentirebbe, infatti, di escludere la configurazione in concreto dell’autoriciclaggio nei casi in cui non è possibile identificare e isolare dal patrimonio del contribuente il provento illecito oggetto delle successive operazioni di reimpiego, sostituzione o trasferimento.

Sotto altro profilo, la legge n. 186/2014 estende al reato di autoriciclaggio la norma in tema di ricettazione (cfr. art. 648, ultimo comma, c.p.), che prevede l’applicazione della disciplina di tali reati anche se l’autore del reato-base non è imputabile o non è punibile ovvero quando manca una condizione di procedibilità. In attuazione di tale rinvio, se l’autore del reato-base non è punibile per tale illecito, ad esempio perché il reato si è prescritto, lo stesso potrebbe essere incriminato per autoriciclaggio, se risulta che il vantaggio economico conseguito è stato reimpiegato nell’attività economica dell’impresa. Reimpiego che, come sopra precisato, dovrebbe essere considerato rilevante, ai fini dell’autoriciclaggio, solo in presenza di specifiche condotte che esprimono un disvalore penale ulteriore rispetto a quello insito nel reato-base.

Al riguardo rileva quanto previsto in tema di voluntary disclosure. Infatti, con l’obiettivo di incentivare il ricorso a tale meccanismo, la legge n. 186 prevede che il contribuente che acceda alla voluntary disclosure non è punibile né per il reato-base, né per il delitto di autoriciclaggio.

Responsabilità degli enti

Come anticipato, la legge n. 186/2014 inserisce l’autoriciclaggio nell’elenco dei reati presupposto della responsabilità degli enti disciplinata dal D. Lgs. n. 231/2001 (di seguito, anche “Decreto 231”).

In linea generale, questa scelta rende particolarmente severa la risposta sanzionatoria. Infatti, sempre in relazione all’esempio del reato tributario come base dell’autoriciclaggio, si cumulerebbero le seguenti sanzioni: i) amministrativa; ii) penale per il reato-base; iii) penale per l’autoriciclaggio; iv) amministrativa ai sensi del Decreto 231, a carico dell’impresa.

Ciò solleva dubbi di compatibilità col principio ordinamentale del ne bis in idem, fondato sul diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto. In proposito, infatti, si rileva che di recente la Corte europea dei diritti dell’uomo (Seconda Sezione, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia. C.d. caso IFIL - Exor) ha censurato le norme italiane in materia di market abuse da cui deriva una moltiplicazione dei livelli sanzionatori analoga a quella che si potrebbe venire a determinare con il nuovo reato di autoriciclaggio. Pertanto, il principio sopra richiamato è invocabile anche laddove vengano in gioco sanzioni di natura amministrativa, oltre che penale.

Inoltre, di non poco conto risulta l’impatto che l’introduzione della nuova fattispecie avrà sull’adeguamento dei Modelli Organizzativi adottati dalle imprese. In proposito, è evidente che una delimitazione più chiara dell’ambito dei reati-base rilevanti  avrebbe l’effetto di chiarire i confini della responsabilità dell’ente.

In particolare, si rileva che il legislatore non ha ritenuto di specificare in che modo debba intendersi il generico riferimento al "delitto non colposo" quale reato-base dell’autoriciclaggio. Pertanto non è chiaro se l’eventuale responsabilità dell’ente è limitata ai casi in cui il reato-base rientra tra i reati presupposto di cui al Decreto 231, ovvero se essa possa configurarsi anche in presenza di fattispecie diverse.

Tale aspetto ha considerevoli ricadute sul piano pratico, in quanto ipotizzare l'insorgere della responsabilità dell'ente per tutti i reati previsti nel nostro ordinamento, quali reati-base dell’autoriciclaggio, vorrebbe dire sovraccaricare il sistema di prevenzione attivato dall’impresa, vanificandone l’efficacia. Infatti, sul piano operativo ne potrebbe derivare un'attività di aggiornamento del Modello Organizzativo pressoché impraticabile.

 

D’altra parte, l’interpretazione estensiva sembra violare le fondamentali garanzie di tutela previste dal Decreto 231. Infatti, in attuazione del principio di legalità in esso previsto, “l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto” (art. 2).

Pertanto, alla luce del richiamo a tali garanzie – che l’ordinamento appresta per la responsabilità di natura penalistica – l’autoriciclaggio dovrebbe rilevare ai fini dell’eventuale responsabilità dell’ente soltanto se il reato-base rientra tra quelli presupposto previsti in via tassativa dal Decreto 231.

In caso contrario, infatti, si finirebbe per integrare in modo del tutto indefinito il catalogo dei reati presupposto, attraverso l'implicito rinvio a una serie di fattispecie di reato non colpose non espressamente indicate.

Un analogo meccanismo di rinvio indeterminato è stato adottato dal legislatore in occasione dell'inserimento nel catalogo dei reati presupposto dei delitti associativi di cui agli artt. 416 e 416- bis c.p. Contro tale impostazione ha avuto modo di esprimersi la Suprema Corte che ha ribadito la necessità di rispettare il principio di tassatività al fine di assicurare una reale effettività ai Modelli Organizzativi in termini di prevenzione. Ciò sul presupposto che se si adottasse un approccio diverso, al fine di evitare possibili imputazioni, i Modelli dovrebbero essere aggiornati prendendo in considerazione anche reati non contemplati dal Decreto 231, il che renderebbe impossibile la redazione di un presidio efficace (Cassazione Penale, Sezione VI, sentenza n. 3635 del 24 gennaio 2014).

Per chiarire il punto in questione sarà determinante verificare l’orientamento della giurisprudenza, con l’auspicio che essa adotti un orientamento volto a interpretare con rigore il concetto di delitto non colposo, nei termini sopra precisati.

In attesa che la giurisprudenza definisca con certezza il perimetro della responsabilità dell'ente, i presidi adottati per prevenire i reati di riciclaggio e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (tutti inclusi nell’art. 25-octies del Decreto 231) dovrebbero rappresentare una buona base anche per contenere il rischio di realizzazione dell’autoriciclaggio.

Ferme restando le considerazioni sopra svolte circa la portata applicativa delle nuove norme, in sede di prima applicazione, l’attività di redazione e integrazione dei Modelli Organizzativi rispetto al reato di autoriciclaggio dovrebbe essere svolta alla luce delle considerazioni che seguono.

Se il reato-base consistesse in un reato presupposto della responsabilità ai sensi del Decreto 231 , il Modello Organizzativo dovrebbe già prevedere presidi di controllo ad hoc e quindi non necessiterebbe di uno specifico aggiornamento. Viceversa, qualora il delitto-base dell’autoriciclaggio non rientrasse tra quelli presupposto elencati nel Decreto 231, la sua inclusione nelle aree di rischio da considerare ai fini della costruzione del Modello Organizzativo contrasterebbe con i principi di legalità e determinatezza che il Decreto 231 (art. 6, co. 2) applica ai Modelli stessi laddove prevede – come evidenziato anche dalla recente giurisprudenza di legittimità sopra richiamata – che essi siano redatti sulla base di aree di rischio riferite ai soli reati presupposto, senza menzionare ulteriori reati ad essi ricollegabili in astratto.

Distinti saluti.

» Firma Il Segretario Generale Lorenzo Gradi  |   Autore GR/mf
» Carta intestata

Circolari recenti

Circolare n° 020/2020

Decreto Rilancio: contributi a fondo perduto, sostegno alla patrimonializzazione delle imprese di media dimensione e Patrimonio Destinato. Circolari ASSONIME.

Leggi tutto

Circolare n° 019/2020

Le integrazioni del Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato: ricapitalizzazioni, debito subordinato, piccole imprese in difficoltà.
Circolari ASSONIME.

Leggi tutto

Circolare n° 018/2020

Sistema europeo per lo scambio di quote di emissioni (ETS): recepimento della direttiva (UE) 2018/410;
La riqualificazione degli atti nell’imposta di registro – Infondatezza...

Leggi tutto

Circolare n° 017/2020

Le regole societarie per salvaguardare la continuità operativa delle imprese nei decreti Liquidità e Rilancio CIRCOLARE ASSONIME

Leggi tutto

Circolare n° 016/2020

Il d.l.vo n. 142 del 2018 di recepimento delle cd. Direttive ATAD: la nuova disciplina di deduzione degli interessi passivi. Utilizzo delle applicazioni mobili nell’emergenza...

Leggi tutto

Pagina 3 di 185 pagine  < 1 2 3 4 5 >  Last › Pagina precedente  Pagina successiva